Sabato, 12 Aprile 2008 03:45

Cattolici e politica verso le elezioni

Scritto da  Gerardo

Sul numero di Jesus (aprile 2008) in distribuzione, dedicato a Cattolici e politica verso le elezioni. Nostalgia di cristianità?, è uscita un'intervista ad Arnaldo Nesti, a cura di Vittoria Prisciandaro, dal titolo Nesti: Chiesa o Confindustria sacra?.
Alla vigilia delle elezioni riteniamo utile ripubblicarlo.

Mille campanili sempre più confusi tra le parabole satellitari: è questa l’Italia alla quale Arnaldo Nesti, docente di Sociologia a Firenze, direttore della rivista Religioni e società e della International Summer School on Religions in Europe (ISSRE), ha dedicato due anni fa il volume intitolato “Qual è la religione degli italiani? Religioni civili, mondo cattolico, ateismo devoto, fede, laicità”.

Professor Nesti, qual è la religione degli italiani?
«È diffuso lo stereotipo che l’Italia sia un Paese cattolico. Alcuni episodi emblematici – come la religiosità popolare e la devozione per certe personalità come padre Pio, la presenza del festivo religioso nella vita collettiva – rafforzano questa idea. Ma se si guarda in profondità si potrebbe dire che è un credere senza partecipare, un collante di appartenenza che non sempre dice l’adesione fondamentale, il sentire reale. Altro quel che appare, altro quel che è. C’è un gap tra gli elementi formali e l’effettivo vissuto».

Oggi il fattore religioso nel dibattito politico sembra giocare un ruolo più forte che in passato. Come mai?
«Indubbiamente dall’inizio del secolo, con la crisi dei partiti politici, delle ideologie di massa, il venir meno dello scontro ideologico tra Est e Ovest, e con il modificarsi delle condizioni di vita e la crescita del benessere, la religione e la Chiesa sono diventate un rassicurante elemento identitario, in modo particolare tramite l’utilizzazione dei mass media. Eppure dubito che questa occupazione dello spazio pubblico da parte delle istituzioni ecclesiastiche sia segno di un effettivo ritorno della fede. È un’impressione confermata dagli indicatori dell’esperienza religiosa – come la pratica dei sacramenti, la condotta etica, la conformità ai paradigmi della Chiesa – che indicano un gap tra questo “recupero” pubblico, televisivo, dell’elemento religioso e quanto accade nella vita delle persone. D’altra parte anche i miti diffusi del successo, del “tutto e subito”, sono antitetici all’etica evangelica».

Di recente il cardinale Angelo Bagnasco ha richiamato i politici cattolici a una trasversalità sui valori. Come interpreta i rapporti tra episcopato e classe politica?
«Le considerazioni e l’intervento del cardinale sono ineccepibili. Quello che lascia perplessi, in una società pluralista come la nostra, è questo presumere di avere il compito di entrare nello spazio del vissuto laico. Un atteggiamento che svuota la forza dell’annuncio cristiano, che non si fa forte dell’uso delle televisioni e dei giornali. Dà l’idea non di una Chiesa sacramento, ma di una “Confindustria sacra”, un partito parallelo. Il ritorno al regime di cristianità è impensabile, ma questo cavalcare i poteri forti della comunicazione, l’alleanza con soggetti che dichiarano di essere esterni alla fede, ma utilizzano strumentalmente la religione – parlo della vicenda degli atei devoti –, sono vicende che contaminano il rapporto tra religione e politica. E si fondano su una religione che evoca altre stagioni storiche. La società italiana è e sarà sempre più diversa. Il futuro della Chiesa non si gioca sulle campagne elettorali ma nel saper fare i conti e assumere la diversità. Non si vuole disconoscere alla Chiesa il diritto di intervenire, ma si discutono i modi. Viviamo in un momento drammatico e presumere di avere le risposte soltanto perché si ricopre un certo ruolo significa eludere i problemi rispetto ai profondi cambiamenti in atto. Viene da domandarsi perché c’è una sorta di latitanza del laicato, una sfiducia, un abdicare anche per obiezione. Di recente è stato ricordato Pietro Scoppola, e oggi non sono molti i cristiani come lui. Verrebbe da pensare che si assiste a quello scisma sommerso di cui si è parlato qualche tempo fa».

Ma esiste, secondo lei, una “religione civile” in Italia?
«Il cattolicesimo italiano ha mille volti, affonda le radici in un tessuto profondamente differenziato. Lo testimoniano quei grandi documenti sulla religiosità degli italiani che sono le relazioni dei vescovi fatte in occasione delle visite ad limina. I testi che è possibile consultare – cioè fino alla seconda guerra mondiale – raccontano di un paesaggio complesso. È illusorio pensare che il cattolicesimo sia unito, compatto, uguale. Ma una religione alternativa a quella della Chiesa in Italia non è mai nata. Ci sono state però delle modalità per darsi un’identità distinta da quella cattolica. Per esempio, per molto tempo a livello popolare ha assolto questa funzione il socialismo, che da noi si è affermato come un evangelismo con implicazioni sociali. Anche il fascismo per alcuni settori è stato vissuto come religione della patria. Ci sono state insomma varie forme di religioni civili, ma non hanno avuto una capacità di coinvolgimento costante a livello collettivo perché hanno prevalso modelli culturali che hanno premiato l’individualismo, il familismo, il particolarismo e un gap di coscienza rispetto al passato. Ha prevalso un presente senza memoria». (vi.pri.)
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